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Adesso dobbiamo avere paura di chi dice: obbedisco
-. Dopo
gli anni del nazismo, e delle atomiche americane sul Giappone, così
il critico e giornalista Dwight Macdonald sintetizzava un intero
passaggio teorico. La Storia aveva fatto l’ultima delle sue
giravolte. Resistenza, secessione, rivolta, obiezione, dissenso,
rifiuto e perplessità, disobbedienza:
del lessico esausto della teoria politica sopravviveva soltanto il
negativo, il cono d’ombra di tutti quei termini (ideali, visioni)
che fino a un giorno prima avevano rappresentato l’insidia
dell’anarchia, la sovversione. Cinquant’anni dopo e oltre, le
cose non sono cambiate. Dal totalitarismo alla società dello
spettacolo e dei consumi, il codice dell’obbedienza (al potere o al
conformismo) continua a dominare coscienze anestetizzate, anime
fiacche. L’imperativo azzardato è ancora quello di ieri:
resistere, disobbedire, separarsi – con fantasia, rabbia, volontà –
per provare a immaginare un altro futuro possibile.
(dalla
prefazione all’antologia Ribellarsi
è giusto,
edizioni dell’asino 2009)